Prostituirsi sarà pure uno dei mestieri più vecchi del mondo, ma anche parlare di bagasce non scherza, in quanto ad antichità.
Eppure, è sempre appassionante riprendere in mano lo storytelling su cortigiane, passeggiatrici, escort e battone, che conosce capisaldi come Guy de Maupassant, Toulouse-Lautrec, Fabrizio De Andrè o qualunque cronista italiano che si sia occupato di politica nazionale nell’ultimo paio d’anni.
Ce lo dimostra, tra l’altro, il notevole successo di pubblico dell’incontro che si è svolto ieri a Lecce, per la presentazione di “Rieducare – Eros e costume in Terra d’Otranto” (Milella 2012), organizzato dalla casa editrice e dal Lions Club Sallentum Universitas.
Alle 19 l’intera sala conferenze del Monastero di clausura delle Benedettine Cassanesi era gremito di noti professionisti leccesi, delle loro signore, ma anche di semplici cultori della materia.
“Il 69% degli uomini italiani è cliente assiduo o occasionale di prostitute”, sono state le prime parole shock pronunciate da Anna Maria Colaci, docente di Storia della Pedagogia all’Università del Salento ed autrice del volume, prima che iniziasse la prolusione del suo collega accademico Carlo Alberto Augieri.
A quel punto, la presentazione poteva anche terminare lì.
Quelle decine e decine di sguardi di sottecchi, incrociandosi anche a doppie e triple gittate dalla parte femminile alla maschile dell’uditorio, avevano già dimostrato che lo scopo principe della riunione era stato raggiunto: sensibilizzare all’emergenza attualissima del fenomeno prostitutivo, anche in un’epoca post-postribolare ed anche nella nostra città campionessa olimpica di panni puliti lavati in pubblico.
Detto con parole che spero non offenderanno nessuna delle mie concittadine, convenute o non convenute ieri: le mignotte sono fra noi.
E questo è un tema ancora più delicato e importante di tutti gli altri di cui Anna Maria Colaci ha intessuto il suo lavoro, senza fare un torto alle più belle sezioni di esso, che sono certamente quelle che sfidano il perbenismo di facciata in un’altra via: quello che sfidano il perbenismo di facciata, evidenziando il valore sociale di un mestiere che seppe e sa comunicare calore e gioie “non sempre evasive”.
Involontariamente geniale è stato il fatto che, per rispetto del format lionistico del meeting, appena terminato il discorso introduttivo della Colaci, sia seguito l’inno nazionale italiano.
Chissà se in qualche remoto e segretissimo punto di ascolto della struttura una monaca di clausura, colta e sveglia come lo sono le nostre amatissime benedettine, non ridacchiasse in religioso silenzio, ripensando a Patti Lateranensi e dintorni.
Vi starà parendo quantomeno atipico che un evento dedicato al meretricio si sia svolto in un monastero, per giunta di clausura.
Evidentemente, non conoscete le cassinesi di Lecce.
Non sapete quanto hanno fatto per alleviare dolori fisici e morali della vicina, solo recentemente “bonificata” area del centro storico di Lecce che per decenni è stato il suo quartierino a luci rosse.
E non conoscete neanche la loro audacia imprenditoriale.
Quelle businesswoman delle 25 benedettine altro non sono che le editrici di Milella.
Il loro CEO madre Benedetta Grasso ancora una volta ha fatto centro, confermando un fiuto per gli affari che avercene, in altri comparti dell’economia e delle schiere angeliche salentine.
Le nostre benedettine hanno tanto gusto per lo zeitgeist quanto per la pasta di mandorle (e se è per questo per la cotognata). Sapendo che aria tira in Italia, ferma restando l’ovvia funzione ri-edificante del libro, mi sa che qui ci troviamo davanti a un possibile bestseller.
Giovanni De Stefano
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