Sui piccoli schermi è l’argomento del giorno.
I giornali immolano le nove colonne della prima pagina alla spinosa questione.
A meno di non aver trascorso le ultime settimane in un rifugio antiatomico, il lettore avrà già capito dove intendo andare a parare.
La parola pedofilia si ottiene accostando i termini greci paido, bambino, e filos, affetto, amore. Sostanzialmente significa "amore per i bambini".
Il fatto che, oggigiorno, definirsi pubblicamente "uno che ama i bambini" sortisca una reazione diversa dal dichiararsi pedofilo denota due importanti circostanze. La prima è
il pressoché totale disinteresse della popolazione per la radice etimologica delle parole correntemente in voga. La seconda è che il significato del vocabolo, in qualche epoca non
meglio precisabile, deve aver subito un drammatico deturpamento. Mentre le vittime degli abusi sessuali presidiavano i talk show svuotando il sacco, mentre ci sporcavamo i
polpastrelli con l’inchiostro dei caratteri cubitali delle copertine dei giornali, e mentre piangevamo commossi dalle parole ancora tremanti di questi sfortunati, molti hanno
ritenuto doveroso specificare che la Chiesa cattolica non è la sola a vantare la presenza di pedofili nel proprio organico, che le mele marce sono ovunque e, cito testualmente, "solo
perché ci sono stati questi scandali non vuol dire che la Chiesa sia tutta così." Particolarmente illuminanti le parole di una ascoltatrice di Radio 3 che, dopo una carrellata di
interventi intelligenti ed imparziali, debutta sulle radiofrequenze sottolineando: "Ho ascoltato la trasmissione fin qui. Volevo solo ricordare che ci sono tanti bravi preti nel mondo e che
non sono tutti pedofili. Nella mia parrocchia abbiamo preti molto attivi socialmente, che quotidianamente danno il loro sostegno alla società occupandosi delle persone più sfortunate".
La radio non ha concesso ulteriore spazio, ma in un talk show televisivo un simile exploit di saggezza avrebbe scatenato un’ovazione degli spettanti. Con tanto di primi piani
sui volti più convincenti.
Ovunque lei sia, gentile signora, questo articolo è il mio personale omaggio a lei e a tutte le brave persone che la pensano come lei, ma che sfortunatamente non hanno l’abitudine di
informarsi, e di attenersi al tema della conversazione quando danno fiato alle corde vocali.
E’ fuori discussione che ogni professione - ammesso che di professione si possa parlare nel riferirsi ad un reverendo - conti le sue aberrazioni, alla stessa maniera in cui non stupirebbe
un’impresa - quale è, esemplificando, la Vaticano S.p.A. - che annoveri nel suo gregge alcune pecore nere. E’ altrettanto fuori discussione che il mondo pulluli di persone altruiste ed impegnate
socialmente, e che una fetta di queste riesca a far del bene senza rivolgersi ad un onnipotente amico immaginario, senza accendere candele e senza prevedere un orribile futuro per chi non oda i
bisbigli di questa presenza immaginaria.
Il problema è che la conversazione verteva su altre faccende. In sostanza, lei ha ricordato che molti sacerdoti capitanati dalla Chiesa aiutano i bisognosi e, con questo, in qualche modo
ha contribuito a salvaguardare l’immagine di una Chiesa benevola ed altruista dispensatrice del messaggio di Pace - quando non sia troppo impegnata a dispensare severe ammonizioni.
Analogamente, e voglia abbonarmi il parallelo, nella Germania del dopo Olocausto qualcuno ricordò che molti ufficiali tedeschi capeggiati dalla Schutzstaffel, la milizia nazista, aiutarono i
detenuti a fuggire dai campi di sterminio. Confesso che stimo la sua capacità di rilevare del sano nel putrefatto, e di giustificare il putrefatto per mezzo del sano. E’ un paragone persino
prevedibile - una reductio ad Hitlerum se preferisce - ma ritengo delinei bene il concetto. Quelli come me amano spiegare le coincidenze con la Storia, non con le storielle. Uno può
dire la cosa più saggia che sia stata mai pronunciata, ma fintanto che non la misura con l’Olocausto nessuno lo ascolta davvero. Avrà certamente prestato attenzione alle testimonianze di quanti
hanno confessato di essere stati vittime di abusi sessuali da parte di sacerdoti. Avrà pensato che tristi eventi come questi accadono da sempre, ovunque, e che sono cose già note. Sul piccolo
schermo ha visto persone perlopiù anziane, e forse l’inquadratura a mezzo busto non le ha permesso di vederne il luccicone negli occhi mentre scavavano nel passato. Probabilmente non è riuscita
nemmeno ad immaginare come dovevano apparire in gioventù, questi signori, quando avevano più capelli in testa e sorridevano più spesso.
Vede, signora, ci sono cose che l’obiettivo di una telecamera non potrà mai ritrarre, ed è per ovviare a questa lacuna che esistono le persone come me.
Questo lei lo sa benissimo perché, tra le persone intelligenti, si è soliti informarsi sul manager prima di entrare a far parte di una qualsiasi impresa. E lei, ne sono convinto, si è
informata prima di andare in giro a proclamarsi cattolica praticante.
Come ben saprà, quello stato piovra del quale la Chiesa cattolica non è che un tentacolo - il Vaticano - osserva delle sue proprie regole che non coincidono con le norme del codice
civile vigenti sulla restante penisola. Mentre quei bambini subivano le violenze di cui le ho offerto uno scorcio, il Vaticano osservava un regolamento - molto minuzioso - che indicava come
comportarsi qualora fosse stata scoperta una "deformazione professionale" come quella della pedofilia. Questo documento, che va sotto il nome di Crimen sollicitationis, fu scritto in
lingua latina nel 1962 dal cosiddetto Sant’Uffizio, che lei ricorderà essere il mandante della Santa Inquisizione. Quella sorta di pulizia intellettuale - più che spirituale - che
vide morire novecentoventi innocenti in Spagna tra il 1540 e il 1700, altri novantasette a Roma tra il 1542 e il 1761, e ventinove malcapitati in Sicilia tra il 1537 e il 1618. Mi fermo, ma
potrei riempire intere pagine di cifre simili, magari includendo anche le persone che furono semplicemente condannate a marcire in carcere, e non a bruciare vive come prescriveva il rituale
canonico. Il Crimen sollicitationis prevedeva il giuramento, da parte dei vescovi, di silenzio perpetuo su ogni fatto avvenuto durante un
processo per pedofilia. In sostanza, il fatto doveva restare tra le mura del Vaticano e non raggiungere mai la polizia. Un caso americano fu particolarmente eclatante. In seguito ad uno
scandalo che vedeva un sacerdote accusato di pedofilia, le autorità statunitensi inviarono una lettera al Vaticano con la richiesta di informazioni sul processato. La busta volò oltreoceano e
tornò agli uffici della polizia americana praticamente intonsa. Sul fronte era stata apposta una spunta su una delle caselle, quella con la dicitura "Rejected": rifiutato. Perché le
sia palese che non ho l’abitudine di diffondere pettegolezzi, riporto il paragrafo del Crimen in oggetto:
"Nello svolgere questi processi si deve avere maggior cura e attenzione che si svolgano con la massima riservatezza e, una volta giunti a sentenza e poste in esecuzione le decisioni del tribunale, su di essi si mantenga perpetuo riserbo. Perciò tutti coloro che a vario titolo entrano a far parte del tribunale o che per il compito che svolgono siano ammessi a venire a conoscenza dei fatti sono strettamente tenuti al più stretto segreto (il cosiddetto "segreto del Sant’Uffizio"), su ogni cosa appresa e con chiunque, pena la scomunica latae sententiae, per il fatto stesso di aver violato il segreto (senza cioè bisogno di una qualche dichiarazione); tale scomunica è riservata unicamente al sommo pontefice, escludendo dunque anche la Penitenzieria Apostolica. [ossia: tale scomunica può essere ritirata solamente dal papa, NdT]"
-tratto dal Crimen sollicitationis, paragrafo 11 Come dire: what happens in Vegas, stays in Vegas. Il paragrafo 61 prevede che, in caso di pedofilia, al
sacerdote sia riservata la massima pena, ovvero la scomunica. Il paragrafo 13 stabilisce che il giuramento di silenzio perpetuo riguardo ogni nefandezza avvenuta sia obbligatorio per gli
imputati come anche - e questo è rassicurante - per le vittime dei crimini contestati e per gli eventuali testimoni. E’ cronaca che alcuni
sacerdoti accusati di pedofilia, lungi dall’essere scomunicati, abbiano semplicemente subito il trasferimento di parrocchia in parrocchia e che, una volta attirata l’attenzione delle autorità
- dacché il gatto perde il pelo ma non il vizio - abbiano preferito la latitanza. Quando, nel 2006, la BBC tentò di diffondere in Italia il noto documentario
"Sex crimes and the Vatican", che gettava luce sull’argomento, l’opera fu immediatamente censurata e, almeno all’inizio, non andò in onda. Tuttavia riuscì a circolare mediante
Internet, con sottotitoli in italiano frutto di una traduzione amatoriale. Chi non si assopì durante quel periodo ricorderà benissimo la vicenda. Ai giornalisti della BBC venne chiesto
di "chinare il capo e chiedere scusa".
La RAI, benché inizialmente avesse fatto di tutto per impedire la messa in onda del documentario, alla fine ne acquistò i diritti e lo mandò nelle case degli italiani
con Annozero.
Va bene la censura, ma per accaparrarsi l’audience si fa questo ed altro. Avvenire - il giornale dedicato a quelli che come lei, signora, sentono le voci
dell’amico immaginario - riservò uno speciale approfondimento alla questione, dove tra gli altri escamotage si precisava - contrariamente a chi sosteneva che
il Crimen avesse "lo scopo di coprire gli abusi avvolgendoli in una coltre di segretezza" pena la scomunica immediata - che il paragrafo 16 del documento
imponeva al responsabile degli abusi di denunciarli entro un mese. Più o meno, se mi è concesso un altro parallelismo, come la legge Italiana impone ai mafiosi di
pentirsi e di consegnarsi alle autorità pena la condanna all’ergastolo. Com’è noto, i mafiosi prendono alla lettera questo consiglio, e si presentano in massa davanti ai commissariati di
polizia per farsi mettere dietro le sbarre - sia pure per qualche anno, che è sempre preferibile all’ergastolo a vita. Chi commette reati, sappiamo, è sempre molto incline a
confessarlo. Avvenire non menzionava, tra le altre cose, che il paragrafo 16 specificava anche a chi doveva essere denunciato il misfatto: all’ordinario del posto o
alla Congregazione per la Dottrina della Fede. Non certo alle autorità locali, che avrebbero sbattuto dentro il pedofilo seduta stante, ma ad una élite che avrebbe
mantenuto il "silenzio perpetuo" sul fattaccio. Lei probabilmente no, signora, ma io ho l’impressione che le smentite, le accuse di complottismo e gli sforzi per arrampicarsi sugli
specchi tentati della Chiesa cattolica rasentino il ridicolo. Sono le unghiate di una belva feroce che scava un tunnel per uscire dalla gabbia.
Alcuni dei più pericolosi pedofili col collarino sono ancora in circolazione - in qualche parte del mondo - ed ho il presentimento che la libidine non li abbia
abbandonati. Quello che preoccupa davvero le persone, signora, è che il Vaticano non abbia mosso un solo dito per fermarli, o per sottoporli all’opinione pubblica. Desidererei
che tenga ben presente tutto questo mentre guarda la Santa Messa della domenica in televisione, mentre il sovrano dello stato del Vaticano alza il calice e rende grazie. Desidererei che
tenga bene a mente l’espressione di goduria sul volto del sacerdote con le brache calate, mentre le lacrime scivolano sul volto del fanciullo. La imploro a tenere presente tutto questo
mentre favoreggia un’istituzione che, per il modo in cui occulta i fatti, non ha nulla da invidiare alla malavita organizzata.
Alessandro Ghio
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