17. dicembre 2012
Dall'appartamento papale: Scoop sul corvo!
Il titolo è provocatorio e non scherzoso e tende a sottolineare quanto in questa stessa sede si è ormai più volte affermato sul carattere non originale dello scandalo che ha scosso
la Curia e il papa negli ultimi mesi.
I “corvi”, in un apparato di governo chiuso, costituiscono la norma e non l’eccezione e rappresentano uno strumento privilegiato della lotta tra fazioni.
Chi studia le Corti di antico regime (e quella attuale papale è una versione solo in parte modernizzata di quelle) questo ben lo sa.
Nello specifico romano, tutto è poi appesantito dal fatto che l’apparato tende almeno in parte a mutare ad ogni “morte di papa” e che molti di coloro che ne fanno parte cercano di
avvantaggiarsi in vista del successivo conclave.
Un documento vecchio di quasi tre secoli conferma quanto qui si assume mostrando analogie straordinarie con il caso del maggiordomo di Benedetto XVI.
Siamo nella corte di altro Benedetto, il XIV dei papi con quel nome, il celebre Prospero Lambertini, che fu al vertice della Chiesa romana dal 1740 al 1758.
Nel 1745 fu coinvolto in una vicenda del tutto simile a quella che ha ora riguardato il suo successore.
Lo svela una lettera di solidarietà spedita da un Nunzio al Segretario di Stato.
Questo il messaggio: “sono stato da altra parte ancora informato degli sporchi tradimenti fatti a Nostro Signore dal suo cameriere più confidente, chiamato Federico, di cui s’è
compiaciuta Vostra Eminenza informarmi essere stato da più anni subornato dal cardinale Alessandro [Albani] e dagli altri partitanti di questa corte e ne ho provocato tutto quel
maggior cordoglio che Vostra Eminenza può immaginare ben riflettendo alla giusta amarezza che un sì indegno tratto di un uomo che ha mangiato il suo pane per vent’anni avrà cagionato
all’amoroso cuore di Sua Santità e di cui ha dovuto privarsi, benché fosse l’unico che lo servisse nell’interiore della sua camera. Vostra Eminenza dice saggiamente che sotto un papa
meno benigno ed amoroso il suddetto uomo avrebbe fatto mal fine e si sarebbe riclamato contro il cardinale Alessandro, non essendo lecito ad un ministro e molto meno ad un cardinale
di dar mano a simili tradimenti”.
Cosa era avvenuto? Il cardinale Albani, nipote del papa Clemente XI e dedito quasi esclusivamente a raccogliere una celebre raccolta d’arte, era divenuto con sorpresa di
tutti nel 1744 rappresentante diplomatico della Corte di Vienna, di cui era allora a capo Maria Teresa d’Asburgo.
Si era nel pieno della guerra di successione austriaca e lo Stato pontificio era stato costretto ad accettare la presenza entro i suoi confini di truppe spedite da Vienna, il che,
unito ai tanti temi che dividevano allora Roma da Vienna, aveva portato ad accogliere molto negativamente il mandato all’Albani.
L’ambasciatore aveva corrotto il cameriere Federico: questo solo poteva spiegare la comparsa presso la corte di Maria Teresa di notizie tenute segrete in Roma.
La lettera proseguiva così: “purtroppo altri papi hanno sofferto la disgrazia d’esser traditi dai più intimi loro famigliari ed io ho piena contezza di due altri casi accaduti.
La lettera proseguiva così: “purtroppo altri papi hanno sofferto la disgrazia d’esser traditi dai più intimi loro famigliari ed io ho piena contezza di due altri casi accaduti.
Ma so altresì che un aiutante di camera di Innocentio decimoterzo, che un cardinale ministro subornar voleva, resistette come doveva all’offerta fattagli di non tenue somma e
diede a conoscere che benché povero huomo sapeva quello doveva al suo padrone.
Non mi ammiro pertanto che il cardinale Alessandro abbia tentato di corrompere il divisato cameriere di Sua Santità perché avrà falsamente pensato che se altri cardinali ministri
lo hanno pratticato, poteva anch’egli pratticarlo …, e fa orrore a riflettere che un cardinale di Santa Chiesa abbia ardito di porre a cimento la fede del più intimo de famigliari di
Sua Santità, ma qui si dirà che dobbiamo noi guardarci ed avere gente fedele al nostro lato.
Dio voglia che non ve ne siano degli altri e che il male finisca coll’allontanamento del riferito traditore”.
Era probabilmente a lui, al traditore Federico, che il papa accennava due anni dopo, raccontando d’avere a suo tempo licenziato il delinquente che gli aveva copiato le lettere
confinandolo in Bologna gratificandolo di un non mediocre mensile finché Benedetto XIV fosse vissuto, “compatendo la sua imbecillità, il bisogno della sua famiglia, e non
scordandoci del servizio prestatoci antecedentemente per molto tempo senza tal macchia”.
Come si vede ci troviamo di fronte a tante analogie col caso che ha scosso la Curia di Benedetto XVI.
Un servitore del papa, per giunta anche in questo caso un Benedetto; un cardinale istigatore, così come si vocifera anche oggi sussurrando i nomi di diversi porporati che si sarebbero
serviti del maggiordomo di Benedetto XVI per regolare conti personali anzitutto con l’attuale Segretario di Stato Tarcisio Bertone.
E poi le carte diffuse al di fuori delle stanze private del papa, questa volta dirette verso una Corte straniera, la benignità del pontefice che salvò allora la vita di Federico e che
probabilmente grazierà prima o poi il suo Maggiordomo. Tante similitudini, fin troppe.
Quando si guarda a quel mondo – e non solo per problemi della servitù – il tempo sembra essersi fermato e Hans Kung è arrivato a dire che “Il Vaticano è rimasto una Corte medievale”.
Si può governare il popolo di Dio nel terzo millennio da una struttura così?
Tornando al Benedetto precedente, il XIV, questi non si faceva alcuna illusione.
Rivelando di conoscere i nomi di tutti i responsabili di un ennesimo scandalo romano, ma avvertendo che non ne avrebbe rivelato i nomi per “carità cristiana”, esclamava che tutti i
mali e le disgrazie che la Santa Sede soffriva nella scena europea, trovavano la loro origine “da questa Babilonia” che era (ed è) la Curia romana.
Il tempo oltre Tevere scorre lentissimo. Gli storici trovano in ciò motivo per compiacersi rinvenendo in quello che è oggi le fotografie del passato, nella comunità cattolica crescono
invece le perplessità.
Antonio Menniti Ippolito
Professore di storia moderna dell'Università di Cassino.
Esperto di storia della curia.
Esperto di storia della curia.
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