I preti, nella pienezza dell’Uffizio e della Missione che la Chiesa affida loro, interpretano la salvifica opera di redenzione delle anime avvisandole del pericolo o della tentazione che provenga dalla corruzione dei tempi o dagli inganni del perduto consorzio umano.
Essi parlano del mondo e della sua antica vicenda, misurano i tempi e il cammino dell’uomo nella storia e per la storia, mostrano i segni di un progetto eterno e il quadro di una terra sempre giovane in cui l’umanità, tutta e una sola, vedrà la luce e lacererà le tenebre.
Questo messaggio di amore e di speranza, come si intende facilmente nella scritture neotestamentarie, è universale, unificante e supera la contingente debolezza dell’uomo per proiettarsi nella immanenza di Dio.
Il prete Ladiana, pensando di prolungare quel messaggio che prima Cristo, poi Pietro gli ha affidato, ne ha inviato un altro, telematico ma meno immanente, alla Dottoressa Rosanna Scopelliti. Il messaggio rivelatore dice, tra l’altro: “… forse proprio loro sono riusciti a portarti le prove che il tuo papà …?” Dove, il pronome personale “loro” indicherebbe i componenti del PdL con cui la Dottoressa Scopelliti ha avviato il suo impegno politico. Vorremmo tralasciare il resto del testo i cui contenuti, per modo e colore, non appartengono neanche al più molle linguaggio degli pseudo-scrittori di gossip.
Certo non ci emoziona il fatto che i preti possano offrire criteri etici e culturali che aiutino le coscienze a prendere posizione anche in ambito sociale e politico. Ma una domanda ci sia concesso di farla: “Ci è sfuggito qualcosa negli ultimi duemila anni o, come dice il prete Ladiana nel suo accorato messaggio, “ … è accaduto qualcosa che non sappiamo ..?”
Insomma, la questione è la seguente: “I preti ammettono una umanità “altra” e “diversa” da quella che insegnano i Vangeli? Se così non è, chi sono quei “loro” a cui il prete fa riferimento con sentimenti di distanza e distacco …?
“Chi professa una fedeltà incorrotta al vero”, diceva Tacito, “deve parlare di tutti senza amore di parte né di odio”.
E’ bene ricordare che la missione propria che Cristo ha affidato alla sua Chiesa, secondo quanto è stabilito nel Concilio Vaticano II, “non è di ordine politico, economico e sociale … ma di ordine religioso” (si veda a proposito il documento della Costituzione Pastorale Gaudium et spes, n. 42 e la lettera Enciclica Deus Caritas est di Benedetto XVI). Intendiamoci …! Una missione “religiosa” non significa affatto disinteresse per la realtà sociale, e in particolare per l’ambito politico; ma essa indica, piuttosto, la prospettiva specifica che la Chiesa ha nei confronti della politica, rimanendo sul piano di un’etica ispirata dalla fede e, nello stesso tempo, razionalmente argomentabile non solo per i credenti. In altre parole, poiché la fede illumina il discorso sull’uomo, la Chiesa istituzione, evangelizzando, compie un servizio che tocca la vita politica intesa come promozione di un modo di presenza nella società (fatto di atteggiamenti interiori, di elaborazioni concettuali e di comportamenti), che sta a monte di ogni ricerca di soluzioni operative.
La Chiesa Istituzione, quindi, attraverso i preti, esercita un influsso mediato e indiretto sull’attività politica, in quanto il Vangelo ispira i comportamenti personali e sociali, privati e pubblici, di chi liberamente lo accoglie. Pertanto, preti dovrebbero autoescludersi dall’intervenire direttamente nella prassi politicain senso stretto, partitico, poiché, nella sua universalità, la missione religiosa non può divenire “di parte” come è proprio di ogni scelta politica.
Ciò esprime un’altra e più alta funzione che “l’uomo di Chiesa”, semmai, deve interpretare: egli, attraverso l’annuncio e l’educazione alla fede, contribuisce ad “elevare la ragione” e a risvegliare le forze morali di quanti, per vocazione laica, sono impegnati ad animare le realtà temporali.
“I fedeli laici” potranno configurare rettamente la vita sociale; i sacerdoti e i “Pastori”, dal canto loro, in quanto testimoni dell’Assoluto, possono contribuire alla soluzione dei problemi umani e sociali, proprio perché la “promozione umana” è parte integrante dell’evangelizzazione.
Resta inteso che nella sfera privata è ovvio che ogni sacerdote “conservi” il diritto di avere un’opinione politica personale e di esercitare secondo coscienza il suo diritto di voto. Ma la sua pubblica e universale missione limita il diritto del presbitero a manifestare le proprie scelte personali per poter essere segno valido di unità e quindi annunziare il Vangelo nella sua pienezza.
I Pastori, certo, non possono tacere, ma devono parlare, insegnare ed esprimere giudizi anche su questioni sociali e politiche, offrendo il loro contributo per illuminare le intelligenze e formare le coscienze. Non si tratta, in questo caso, di “supplenza politica”, ma di adempimento del proprio dovere pastorale.
Dal momento che la promozione umana è parte integrante dell’evangelizzazione, siamo convinti che i sacerdoti debbano incoraggiare la “buona politica”, a formare una classe dirigente onesta e professionalmente capace di mediare in scelte operative condivisibili i criteri che la fede ispira.
Quando, invece, come è accaduto, affrontano troppo spregiudicatamente i temi della politica quotidiana, finiscono spesso per diventare i “cappellani” di un partito, di un movimento, di una corrente politica o sociale, il che non giova né alla Chiesa né allo spirito dei fedeli.
Oudeis
Scrivi commento