Tutta l’opera di Walt Whitman è permeata dallo spirito democratico.
Ma la democrazia, in Whitman, non si compie nelle istituzioni, nella politica rappresentativa, nel suffragio.
L’orizzonte democratico whitmaniano è ben più vasto di quello del sogno americano, non ammette confini, non ha nulla di nazionalistico.
L’America è esclusivamente un laboratorio privilegiato per la sua innata multiculturalità e verginità territoriale, non la terra promessa del nuovo popolo eletto.
Per il poeta, la democrazia è trascendente nel senso più pieno, sacrale.
La democrazia è la religione del futuro, l’unica capace di oltrepassare e di portare a compimento le speranze di salvezza che, nelle tradizionali religioni rivelate, sono presenti a livello embrionale.
Il compito del poeta è cantare la moltitudine in ogni sua forma, nobile o plebea che sia, ed indicare agli individui la strada per comprendere l’universalità ed esserne compresi, compenetrare l’altro ed esserne compenetrati.
Whitman non canta il progresso in se stesso, ma in quanto veicolo per favorire la piena realizzazione della democrazia.
Alla base di questa visione così originale ci sta il sincretismo tra la prospettiva dei padri fondatori, la solidarietà e la psicologia cristiana e la mistica individualista orientale.
A tale sintesi, Whitman vi arriva attraverso la mediazione del trascendentalismo del suo maestro Emerson.
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