“La Chiesa cattolica non è una chiesa pacifista”, “c’è una teoria della giustizia molto solida”, per questo a volte un approccio pacifista semplicemente non è possibile.
È quanto afferma padre Ryscavage, professore di sociologia e direttore del centro per la fede e la vita pubblica dell’università di Fairfield, negli Stati Uniti.
Il giornale cattolico The Pilot ha interpellato padre Ryscavage a proposito della teoria della guerra giusta (la just war) e della sua applicazione per giustificare un intervento militare in Siria.
Sulla questione di un intervento militare in Siria non tutti i cattolici, infatti, sono d’accordo con il papa, che si è lanciato in una serie di iniziative per promuovere i mezzi diplomatici, scongiurare l’opzione militare e trovare la pace il più in fretta possibile.
Il 4 settembre papa Francesco ha scritto una lettera al presidente russo Vladimir Putin in occasione del G-20, ospitato quest’anno a San Pietroburgo.
Nella missiva il pontefice afferma che nel conflitto siriano gli interessi individuali delle parti coinvolte hanno impedito di trovare una soluzione che avrebbe potuto fermare il massacro.
Si appella poi direttamente ai leader presenti al summit affinché: “trovino la via per superare le posizioni discordi e mettano da parte la possibilità di una soluzione militare”.
Il papa si augura che il dialogo e la negoziazione fra le parti riescano a risolvere il conflitto pacificamente e ricorda come tutti i governi abbiano il dovere morale di fare tutto il possibile per assicurare assistenza alle vittime della guerra, sia dentro i confini siriani, sia all’estero.
Il giorno successivo, il ministro degli Esteri del Vaticano, l’arcivescovo Dominique Mamberti, ha esposto agli ambasciatori presso la santa sede la posizione vaticana sulla guerra in Siria.
Secondo quanto riporta l’Independent, la priorità, per il Vaticano, è quella di fermare la violenza e far sì che si giunga ad una soluzione tramite mezzi diplomatici.
Per il 7 settembre il papa aveva anche indetto un giorno di digiuno e preghiera per la pace in Siria, appello poi ribadito tramite l’account Twitter del pontefice.
I mezzi per raggiungere la pace non dovrebbero essere quelli militari, ma quelli della politica che è “una delle più nobili forme di carità, perché al servizio del bene comune”, secondo quanto detto dal pontefice durante la messa del lunedì.
Nonostante la chiara posizione del Vaticano, all’interno della comunità cattolica statunitense c’è chi sostiene l’intervento militare in Siria appellandosi alla teoria della guerra giusta e al principio della responsabilità di proteggere, dottrine che renderebbero ad un tempo necessaria e moralmente giustificata un’azione militare degli Stati Uniti in Siria.
Michael Novak, filosofo cattolico statunitense, intervistato da Vatican Insider, afferma che è giusto che il papa inviti alla pace e alla preghiera, ma che i governi hanno un compito diverso e che nella storia americana la guerra si è a volte rivelata come uno strumento efficace per il perseguimento della pace.
Sono i casi in cui la guerra è “giusta”, cioè quando l’uso della violenza è moralmente giustificato.
Secondo il catechismo della chiesa cattolica i parametri per poter intraprendere una guerra che sia “giusta” sono quattro: il danno inflitto dall’aggressore deve essere duraturo, grave e certo; tutte le altre soluzioni alternative alla guerra devono essersi rivelate inefficaci o impraticabili; deve esistere una consistente probabilità di successo; l’uso della violenza non deve produrre danni più gravi di quelli provocati dall’aggressore.
Il principio della responsabilità di proteggere, invece, stabilisce che, nel momento in cui un governo nazionale non è più in grado di proteggere e vegliare sulla propria popolazione, è dovere della comunità internazionale intervenire per salvaguardare i civili.
Il principio fa parte della giurisprudenza delle Nazioni Unite e, interpretando la sovranità statale più come una responsabilità che come un diritto, mira a tutelare i cittadini da crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio.
Padre Massingale, professore di teologia contattato sempre da The Pilot, sostiene che nel caso della Siria esistono alcuni dei presupposti per la guerra giusta, ma che i princìpi che delineano la “just war” dovrebbero essere usati più come guida per arrivare a una giusta decisione che come lista da spuntare per poter dare il via all’operazione militare.
Il padre aggiunge anche che il non intervento, l’idea che ciò che succede in Siria siano affari della Siria, è un segnale dell’indebolimento della responsabilità morale degli Stati Uniti.
Nel caso della Siria, anche dando per assodate la crudeltà del regime di Assad e la sua incapacità di tutelare la popolazione siriana, rimarrebbe da verificare il fatto che: tutti gli altri mezzi alternativi a un intervento militare siano effettivamente impraticabili; ma, soprattutto, che un intervento militare riuscirebbe a portare la pace e non andrebbe a rinvigorire il focolaio.
Pubblicato in collaborazione con Meridiani Relazioni Internazionali e Treccani
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