Lo Ior viene utilizzato anche per operazioni di riciclaggio di danaro sporco.
Non è una sorpresa – la banca vaticana ha una lunga tradizione di movimenti finanziari illeciti, si pensi solo a mons. Marcinkus o alle tangenti Enimont gestite dal faccendiere Bisignani –, ma la novità è che ora lo ammettono anche in Vaticano.
L’Autorità di informazione finanziaria vaticana (Aif), competente per la vigilanza anti-riciclaggio sullo Stato pontificio, ha infatti appena presentato il suo primo rapporto dal quale emerge che nella seconda metà del 2012 si sono verificate almeno sei operazioni sospette.
E in due casi si è trattato, molto probabilmente, di riciclaggio di soldi frutto di tangenti, tanto che gli atti sono stati trasmessi al promotore di giustizia, ovvero il pubblico ministero di Oltretevere.
Un primo passo verso una trasparenza che tuttavia appare ancora molto lontana: non si conoscono gli attori delle operazioni sospette, né l’ammontare delle cifre.
Né si conoscono i bilanci e si sa a chi appartengono realmente, al netto dei prestanome, tutti gli oltre 30mila conti aperti allo Ior, come dice lo stesso direttore dell’Aif, lo svizzero Bruelhart: «Il monitoraggio è in corso, nei prossimi mesi avremo i risultati».
Anche per questo Moneyval, l’organismo di controllo antiriciclaggio del Consiglio d’Europa, ancora non ha inserito il Vaticano nella white list dei Paesi virtuosi: il giudizio definitivo arriverà entro l’anno.
Luca Kocci
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