La comunità di base di s.Paolo è nata 40 anni fa.
Giovanni Franzoni, all’epoca abate della basilica di s.Paolo fuori le mura, prima di essere sospeso a divinis e dimesso dallo stato clericale dal Vaticano per le sue posizioni sociali e politiche – dalla denuncia delle collusioni fra chiesa e poteri forti, alla presa di posizione a favore del divorzio, fino alla dichiarazione di voto per il Pci – ne racconta le origini.
«La domenica celebravo in basilica la messa di mezzogiorno e nelle omelie tentavo di seguire l’insegnamento del teologo protestante Karl Barth: tenere insieme la bibbia e il giornale.
Ovvero attualizzare il vangelo, incarnarlo nelle contraddizioni della società.
Dopo un po’, con un gruppo di 30-40 persone, decidemmo di incontraci il sabato sera per preparare insieme l’omelia.
Leggevamo i testi, discutevamo insieme, i laici portavano il loro contributo che per me, monaco, era molto importante.
E la domenica la mia predica era il risultato di quel confronto: quindi un’omelia partecipata, non un indottrinamento dall’alto.
Fu quello, di fatto, il primo nucleo della comunità».
Cominciò tutto da lì?
«Ci coinvolgemmo sempre più anche nel sociale: l’opposizione alla parata militare del 2 giugno e ai cappellani militari, le lotte con i disoccupati e i senza casa, le denunce della speculazione edilizia ecclesiastica, le manifestazioni contro la guerra in Vietnam.
Arrivarono le contestazioni di gruppi di destra e dei cattolici tradizionalisti, arrivarono anche le visite apostoliche, cioè le ispezioni, delle gerarchie ecclesiastiche, da cui però passai sempre indenne. Fino al 1973.
Quando nacque la comunità di base di s.Paolo…
Ci riunivamo in alcuni locali sulla via Ostiense dove iniziammo a celebrare la messa, con il cardinal Poletti, vicario del papa per la città di Roma, che “non approvava ma non proibiva”. E ancora oggi siamo lì
Siete degli scissionisti?
No, non vogliamo un’altra chiesa, anche perché mi sembra che ce ne siano già tante, ma una chiesa altra.
Siamo dei riformatori, vogliamo che la chiesa cambi per essere più fedele al vangelo e al concilio.
Che ne è del concilio?
Lo spirito e le istanze del concilio Vaticano II sono state soffocate da Ratzinger e da Wojtyla: la collegialità, la partecipazione, la sinodalità sono parole vuote.
Certo i sinodi dei vescovi si svolgono, ma hanno un valore solo consultivo, quindi sono totalmente inefficaci.
Si continua ad ignorare il ruolo delle donne nella chiesa, valorizzate solo a parole.
C’è stata la sistematica repressione dei teologi che esprimevano un punto di vista diverso, a cominciare dai teologi della liberazione.
Papa Bergoglio sta raccogliendo molti consensi, anche dall’opinione pubblica laica e di sinistra. Qual è il suo giudizio?
È ancora presto per esprimere una valutazione complessiva.
Ha cominciato il suo pontificato con una grande retorica pauperistica.
La retorica è lecita, ci mancherebbe altro.
L’immagine crea simpatia e consenso, ma devono arrivare anche delle decisioni su questioni controverse, altrimenti è solo apparenza.
Per esempio?
Per esempio sulla collegialità. Deve essere vera.
I sinodi devono avere potere decisionale, sennò non servono a nulla.
Poi la riabilitazione dei teologi, dei vescovi e dei preti repressi da Wojtyla e Ratzinger, non solo quelli vivi ma anche quelli che sono morti da “eretici”.
Non per un riconoscimento post mortem, ma per dire che oggi è possibile parlare liberamente, senza timori di vedersi tolta la cattedra, senza paura di subire emarginazioni e scomuniche.
E poi le donne, esaltate a parole ma escluse da ogni ruolo decisionale nella chiesa.
Parliamo di sacerdozio femminile?
No, parlo di ruoli decisionali e di responsabilità.
Durante il concilio un vescovo indiano, totalmente inascoltato, fece notare che molte responsabilità nella chiesa non sono legate allo stato clericale.
Cioè non bisogna essere per forza preti per ricoprirli.
Questi ruoli possono essere affidati ai laici e quindi anche alle donne: i nunzi apostolici, i capo dicasteri, anche i cardinali.
Gli otto “saggi” nominati da Bergoglio per riformare la curia sono tutti cardinali maschi.
Ci sarebbe potuto essere tranquillamente qualche laico e qualche donna, senza necessità che fosse prete.
La questione del sacerdozio femminile è più ampia: il rischio è di clericalizzare anche le donne.
E poi siamo sicuri che Gesù volesse dei preti così come sono oggi?
E sui principi non negoziabili?
Il discorso è analogo.
Papa Francesco usa toni concilianti, parla in modo spontaneo.
Ma bisogna affrontare i nodi.
Va bene che il papa dica “chi sono io per giudicare un gay”, ma se poi quella persona chiede che la sua unione omosessuale venga benedetta dalla chiesa cosa gli si risponde? Che non è possibile.
E allora le parole non sono sufficienti.
Bisogna invece aprire le porte, discutere insieme e decidere.
Luca Kocci
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