Condannato alla pena di morte per “atti ostili contro dio” e per aver contribuito a “diffondere la corruzione sulla terra”. Queste le accuse per il poeta e attivista iraniano Hashem Shaahani da parte del Tribunale Rivoluzionario Islamico che ha deciso per la pena capitale.
Le imputazioni a carico di Shaahani arrivarono dopo l’arresto, nel febbraio 2011. Durante il periodo di detenzione il poeta fu torturato e costretto a dichiarare, in un’intervista all’emittente satellitare iraniana Press TV, di aver preso parte ad atti di “terrorismo separatista”, nonché di aver chiesto finanziamenti agli ex leader d’Egitto e Libia, Mubarak e Gheddafi.
La morte, avvenuta per impiccagione il 29 gennaio scorso, è stata preceduta da una lettera in cui il 32enne artista scriveva: “[...] Ho cercato di difendere il diritto che dovrebbe spettare a ogni persona al mondo, ossia il diritto a vivere liberi. Nonostante tutta la miseria e le tragedie, per combattere le atrocità non ho mai usato un’arma che non fosse la mia penna. Non ho mai partecipato ad azioni armate. Non sono d’accordo con chi sostiene la lotta armata, se vi sono altri metodi pacifici per reclamare diritti ed esprimere i nostri desideri e le nostre aspirazioni”.
Secondo Amnesty International le esecuzioni in Iran sono state quasi un centinaio, considerando appena i primi 40 giorni del 2014. Un ritmo impressionante che, se dovesse proseguire, farebbe superare di molto, alla fine dell’anno, il tragico record di almeno 625 condanne a morte eseguite nel 2013. E in passato Teheran ha ripetutamente ribadito di considerare la pena di morte essenziale per il mantenimento dell’ordine e il rispetto della legge. Anche adesso, con la salita al potere del presidente “moderato” Hasan Rouhani, avvenuta nell’agosto dello scorso anno.
Questo nonostante le esortazioni alle autorità iraniane a sospendere con urgenza le esecuzioni nel Paese, da parte del Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura e altri trattamenti umani, Juan E. Méndez e i relatori speciali delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani in Iran, Ahmed Shaheed e Christof Heyns. Anche l’appello di Christof Heyns, Special Rapporteur delle Nazioni Unite sulle esecuzioni extragiudiziarie, sommarie e arbitrarie, ha dichiarato in un comunicato stampa diffuso dall’Ufficio dell’Alto Commissario per i Diritti Umani (OHCHR): “Siamo costernati per la continua applicazione della pena di morte con allarmante frequenza da parte delle autorità. Questo avviene nonostante i ripetuti appelli all’Iran affinché stabilisca una moratoria delle esecuzioni“.
Secondo la Dichiarazione universale dei diritti umani “Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamenti o punizioni crudeli, inumane o degradanti” e il valore deterrente della pena capitale non è mai stato dimostrato da nessuno studio. Anzi, è dimostato che gli omicidi sono più numerosi negli Stati che applicano la pena di morte e che il tasso di violenza aumenta rapidamente dopo le esecuzioni. Nega poi qualsiasi possibilità di riabilitazione e recupero di chi commette reati, senza considearer la possibilità di condannare e uccidere un innocente.
Raffaella Russi
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