Nella bimillenaria storia della chiesa ci sono 21 «pietre miliari» che ne segnano chiaramente le tappe. Si tratta dei 21 concili
ecumenici e generali che, da Nicea (325) al Vaticano II (1962–1965), hanno delineato il cammino della chiesa, cristiana prima e
cattolica poi, attraverso un percorso lungo il quale si sono susseguiti ostacoli e scorciatoie, balzi in avanti (pochi) e ritorni al passato (molti), contrasti, consensi e dissensi, in una continua osmosi con la storia sociale e politica italiana, europea e mondiale. Perché i concili, oltre alla definizione dei dogmi e alla configurazione del potere papale e dell’organizzazione ecclesiastica, hanno inventato eretici, lanciato crociate, prodotto inquisizioni e controriforme, infine tentato, il Vaticano II, di riconciliare la chiesa con la modernità, dopo i roghi, le abiure e gli arroccamenti all’interno delle mura di una cittadella che si riteneva assediata dal resto del mondo.
Venti secoli raccontati da Luigi Sandri – giornalista e vaticanista di lungo corso, in passato collaboratore del manifesto – in un volume di 1.078 pagine che, mescolando accuratezza storica, semplicità di linguaggio e «passione riformatrice», rende commestibili anche ai non specialisti vicende intricate e questioni complesse. Dal Gerusalemme I al Vaticano III. I concili nella storia tra vangelo e potere (Il Margine, euro 30) racconta la genesi, i lavori e le conseguenze dei concili – che, scrive Sandri, «non vivono in una bollicina estraniata da un preciso quadro sociale, culturale e geopolitico» – e, attraverso di essi, l’intera storia della chiesa, dalle origini ai giorni nostri, e anche oltre, sognando e immaginando un 22mo concilio per «una chiesa finalmente libera dal potere e appassionata solamente del vangelo».
Dopo il preambolo del «concilio archetipo di Gerusalemme» – il primo conflitto nella neonata comunità cristiana, intorno all’anno 50, sull’atteggiamento «rigorista» o «aperturista» da tenere nei confronti dei convertiti non provenienti dal mondo ebraico –, la storia comincia a Nicea, dove si compie la scelta di «dogmatizzare il cristianesimo». Un metodo, nota l’autore, che caratterizzerà tutta la
successiva vita della chiesa – «i sostenitori della dottrina “ortodossa” avrebbero scomunicato i loro avversari ritenuti “eterodossi”» – e che in un certo prosegue anche oggi.
Dal punto di vista sociale e politico nel secolo di Nicea si verifica anche quella «mutazione genetica» del cristianesimo (con Costantino e Licinio la fede cristiana diventa «lecita», con Teodosio «religione di Stato»), che spianerà la strada alle successive alleanze fra altare e trono e, più in generale, fra chiesa e potere. Dibattito lungo e articolato quello sul «costantinismo» – più vivo che mai in questo anno 2013, anniversario numero 1.700 del cosiddetto Editto di Milano –, di cui Sandri dà conto e sul quale prende posizione, perché il libro è rigoroso ma non asettico, giudicandolo «deleterio», per la chiesa e per gli Stati: «Entrando prima dalla finestra e poi dalla porta principale nel Palazzo del potere, quella che un tempo era l’umile comunità delle discepole e dei discepoli di gesù di Nazareth si asside idealmente alla mensa degli imperatori per un reciproco dare e ricevere».
Il viaggio continua con i concili del medioevo, intercalati dalle narrazioni della «falsa donazione di Costantino» – il papato è «dono di cristo o di Costantino?», si chiede l’autore –, dello Scisma d’Oriente, del Dictatus papae di Gregorio VII che afferma la superiorità assoluta del papa, delle crociate e del concilio di Costanza (1414–1418) che invece proclama la prevalenza del Concilio sul papato. Fino a Lutero e alla Riforma protestante, a cui la chiesa cattolica reagirà con la nuova chiusura della controriforma, elaborata a Trento alla metà del Cinquecento (un Concilio «spartiacque fra un prima e un dopo») e proseguita dopo, «guida maestra di Roma» fino al Novecento, quando ci sarà la «svolta» del Vaticano II e la lunga stagione del post concilio, caratterizzata dalla dialettica fra la piena attuazione del rinnovamento (chiesa «popolo di dio», collegialità, libertà religiosa, ecc.) e la linea vincente di Wojtyla e Ratzinger: il ridimensionamento, se non il vero e proprio soffocamento, delle istanze conciliari.
Si arriva a papa Francesco a cui Sandri guarda con attenzione, per «alcune promettenti novità» intraviste all’inizio del pontificato, e con la speranza che «avvii la preparazione di un nuovo Concilio» – magari da svolgersi lontano da Roma, a Manila, a Nairobi o a Puebla –, perché la Chiesa si liberi dal potere e torni al Vangelo.
Luca Kocci
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