Ci sono dei libri che, sebbene “vecchi” di oltre vent’anni, conservano intatta la capacità di illuminare e far comprendere meglio il presente. Quando uscì per la prima volta nel lontano 1991, l’inchiesta della cronista del Corriere della sera Maria Antonietta Calabrò, Le mani della mafia, contribuì alla riapertura delle indagini sulla morte del banchiere Roberto Calvi, frettolosamente derubricata a «suicidio», all’accertamento parziale della verità giudiziaria su quella vicenda – Calvi fu ucciso, sebbene non ci siano i nomi dei colpevoli – nonché alla scoperta che Cosa Nostra usò lo Ior per riciclare ingenti capitali. Quello stesso volume, aggiornato con le ultime vicende che riguardano la banca vaticana e meritoriamente ripubblicato dall’editore Chiarelettere qualche settimana fa (Maria Antonietta Calabrò, Le mani della mafia, pp. 410, euro 14), racconta e spiega che il Vaticano si è decisamente incamminato sulla via della trasparenza finanziaria – sebbene non ancora pienamente raggiunta – ma dimostra anche che lo Ior presenta ancora molte zone d’ombra, che le “falle” sono tutte in Italia e che c’è un filo ininterrotto che lega lo Ior di ieri a quello di oggi.
«Può sembrare incredibile, ma gli scandali più recenti che hanno coinvolto lo Ior affondano le loro radici nella storia del vecchio Banco ambrosiano», spiega l’autrice del volume che è stato presentato all’Auditorium di Roma lo scorso 14 marzo. Si tratta in particolare dei «conti misti in gestione confusa», ovvero quei conti dello Ior sui quali si operava senza rivelare i nomi dei clienti. Sembravano morti, invece erano solo dormienti, e la loro esistenza è tornata alla luce nel settembre 2010 quando, su ordine della Procura di Roma, la Guardia di Finanza ha sequestrato 23 milioni di euro dello Ior (poi dissequestrati, ma tuttora immobili) e messo sotto inchiesta quelli che allora erano i massimi dirigenti della banca vaticana per sospetta violazione della normativa antiriciclaggio: non avevano comunicato di chi erano quei soldi e che tipo di operazioni si stavano effettuando.
Una situazione che si è poi ripetuta poco dopo, con l’arresto di mons. Nunzio Scarano, “don 500 euro”, accusato di riciclaggio, come ben spiegato nell’ordinanza del Gip di Salerno Dolores Zanone del 15 gennaio 2014, riprodotta nel libro: «Spesso tali dati non vengono comunicati dallo Ior il quale, a giustificazione di tali comportamento, sostiene che in virtù del fatto che i protocolli finalizzati a disciplinare l’operatività con tale istituto sono ancora in fase di definizione, si trova nell’impossibilità di adempiere correttamente agli obblighi imposti dalla normativa antiriciclaggio». «Questo “particolare” funzionamento dello Ior costituisce la ragione per la quale spesso i rapporti bancari ivi radicati vengono scientemente utilizzati per porre in essere operazioni finanziarie ricorrendo a provviste ivi allocate delle quali non si vogliono rendere note né l’origine né tantomeno la titolarità». E proprio quella dei conti misti resta «l’anomalia italiana» e l’oggetto principale del contenzioso, non ancora sanato, fra Italia e Vaticano, tanto che ad oggi lo Ior non ha alcuna possibilità di operatività con le banche italiane.
«La ripubblicazione dell’inchiesta è un’ottima notizia», ha detto, durante la presentazione, l’ex deputato radicale Maurizio Turco che più volte, in Parlamento, con le sue interrogazioni ha costretto le istituzioni a confessare colpe e complicità delle autorità italiane, per esempio a proposito di diverse rogatorie mai consegnate in Vaticano oppure arrivate fuori tempo massimo, quando cioè i documenti che si cercavano erano stati legittimamente distrutti. «È un’operazione di memoria storica ma anche di connessione del presente al passato». Perché i quattro nuovi capitoli e la cronologia aggiornata a tutto il 2013 mettono in luce questi legami mai sciolti del tutto: non solo i conti misti, ma anche gli interessi mafiosi, il ruolo tutt’altro che chiarito di Gotti Tedeschi – cinghia di trasmissione degli affari di Finmeccanica? –, i contatti con uomini in passato transitati nella Banda della Magliana e oggi ancora in attività.
«Il Vaticano si sta adeguando», spiega Calabrò: «Ha emanato una nuova legislazione interna, ha promosso una Commissione d’inchiesta, ha cambiato gli uomini nelle stanze di comando, ha avviato la ripulitura dei conti, in attesa del giudizio di Moneyval (l’organismo del Consiglio d’Europa incaricato di stilare la white list dei Paesi virtuosi in materia di antiriciclaggio, ndr) che però è stato rinviato alla fine del 2015, segno che la strada è ancora lunga e che evidentemente non si poteva chiudere la procedura ora». «Ma la domanda è un’altra», sottolinea Turco: «Cosa se ne fa la Chiesa di una banca?».
Luca Kocci
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