Smilitarizzeremo i cappellani militari. Anzi no. Il contraddittorio dietro front-avanti marsch arriva dallo stesso palazzo, quello dell’Ordinariato militare per l’Italia, ma da due uffici diversi: quello dell’ordinario, mons. Santo Marcianò, e quello del vicario episcopale, mons. Angelo Frigerio, i quali, a distanza di poche settimane, hanno fatto due affermazioni diametralmente opposte sul futuro dei preti soldati, una pro smilitarizzazione, l’altra per mantenere inalterato lo status giuridico dei cappellani, inquadrati nelle Forze armate con i gradi e lo stipendio dei soldati, dal tenente generale (l’ordinario) al tenente (il cappellano semplice).
La Stampa di Torino pubblicò un articolo di Francesco Grignetti con un titolo eloquente: «Addio stipendi e pensioni. La Difesa toglie le stellette ai cappellani militari». La notizia, confezionata come nuova, è in realtà piuttosto datata: Adista ne aveva già parlato l’1 febbraio. Si riferisce – e l’articolo della Stampa utilizza la stessa fonte, ma con oltre due mesi di ritardo – ad una trasmissione radiofonica di Radio Radicale in cui mons. Frigerio, ospite del programma “Cittadini in divisa” condotto da Luca Marco Comellini, aveva appunto parlato dell’eventualità di procedere alla smilitarizzazione dei cappellani. «Ai cappellani militari i gradi non servono e non interessano – aveva detto il vicario episcopale dell’Ordinariato –. Ci interessa solo avere la garanzia e gli strumenti per poter continuare ad esercitare il ministero pastorale di assistenza spirituale alle donne e agli uomini delle Forze armate». E aveva poi informato dell’avvio delle trattative con il ministero della Difesa per la sottoscrizione dell’Intesa tra il governo e la Cei – per definire lo status dei cappellani – prevista dal Concordato ma mai stipulata.
Ed è questa la notizia che La Stampa rilancia: «Il ghiaccio è stato rotto. I primi colloqui, molto cordiali. All’insegna della disponibilità. E non era scontato. No, non era affatto scontato che il nuovo ordinario militare, l’arcivescovo monsignor Santo Marcianò, accettasse il principio che i cappellani militari rinuncino ai gradi», scrive Grignetti. L’arcivescovo, prosegue l’articolo, «ha fatto capire, nei colloqui con il ministero della Difesa, che i cappellani potrebbero anche rinunciare ai gradi. Purché sia garantita l’essenza della loro missione pastorale, che è quella di assistere spiritualmente gli uomini e le donne che servono lo Stato in armi».
Alla lettura dell’articolo del quotidiano torinese, all’Ordinariato saltano dalle poltrone. E subito arriva un perentorio comunicato stampa: «A seguito di un articolo apparso sul quotidiano La Stampa, dal titolo fuorviante e ad effetto, “Addio stipendi e pensioni. La Difesa toglie le stellette ai cappellani militari”, questo Ordinariato militare precisa che non è stato costituito ad oggi alcun tavolo di confronto ufficiale tra la Santa sede e il Governo italiano per la revisione dello status dei cappellani militari. La notizia ripresa da altri organi di stampa ed enfatizzata con superficialità da talune associazioni risulta, pertanto, assolutamente infondata».
A parte l’errore grossolano dell’estensore del comunicato – il tavolo di confronto è fra governo italiano e vhiesa italiana, la santa sede non c’entra nulla – la smentita è netta: nessuna smilitarizzazione e soprattutto nessun tavolo è stato aperto. Eppure mons. Frigerio, intervistato (24/1) da Avvenire – quotidiano della Cei, quindi voce ufficiale della Chiesa italiana –, aveva sostenuto l’esatto contrario: «Un incontro – rivelava il vicario episcopale – c’è stato nei giorni scorsi. È stato stabilito di preparare entro Pasqua un primo documento. Poi, tra un paio d’anni, la definizione delle linee portanti». E la notizia dell’avvio del confronto viene confermata ad Adista anche da altre fonti.
Ma l’apparente contraddittorietà delle posizioni rivela in realtà una spaccatura profonda che si sta consumando dentro l’Ordinariato: da una parte coloro che spingono per la smilitarizzazione – ovvero per la rinuncia ai gradi – senza però perdere la possibilità di proseguire a portare avanti il ministero pastorale delle caserme e nelle missioni all’estero; dall’altra chi invece vuole mantenere le cose come stanno, privilegi e stipendi compresi.
L’Ordinariato se la prende anche con Pax Christi – che da anni si batte per la smilitarizzazione dei cappellani militari –, senza nemmeno nominarla, e con il suo presidente, mons. Giovanni Giudici, vescovo di Pavia. «La notizia (della Stampa, n.d.r.) – si legge ne comunicato – ripresa da altri organi di stampa ed enfatizzata con superficialità da talune associazioni risulta, pertanto, assolutamente infondata». Pax Christi sarebbe una di queste «talune associazioni». Il giorno stesso della pubblicazione dell’articolo infatti il movimento cattolico per la pace aveva diramato una nota firmata da mons. Giudici e dal coordinatore nazionale, don Renato Sacco. «Pax Christi Italia accoglie positivamente la notizia pubblicata da alcuni giornali sulla disponibilità a trovare un accordo con il ministero della Difesa per la riduzione di stipendi e stellette ai cappellani militari», si legge nella nota. «Pax Christi auspica che ci si muova speditamente in questa direzione. Tuttavia rimarca l’importanza di allargare il dibattito, fuori e dentro la comunità cristiana, per trovare insieme le risposte ad alcuni quesiti imprescindibili: come si concilia la retorica delle “missioni di pace” con l’assoluta prevalenza, nel bilancio dello Stato, delle spese militari rispetto alla preparazione dei “corpi di pace”? Per noi cristiani come si realizza l’obbedienza al Vangelo con la scarsa attenzione a formare coscienze libere, disposte ad amare anche il “nemico”?». Dopo la smentita da parte dell’Ordinariato, la replica, secca, del movimento: «L’Ordinariato militare smentisce che siano in atto incontri e trattative tra la Santa Sede e il ministero della Difesa al fine di trovare un accordo per la riduzione di stipendi e stellette ai cappellani militari. Ne prendiamo atto».
Luka Cocci
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