C’è un sottile filo nero che collega lo Ior di ieri – quello di Marcinkus e dei legami con il Banco ambrosiano di Roberto Calvi – a quello di oggi. Un passato che, benché archiviato dalle sentenze della magistratura, ha lasciato delle ceneri mai spente del tutto che in questi ultimi anni, come l’araba fenice, hanno ripreso vita.
A riesumare le storie di ieri per dimostrare i legami con la cronaca di oggi ci pensa un libro che, come la vicenda che racconta, è vecchio e nello stesso tempo nuovo. Le mani della mafia, di Maria Antonietta Calabrò (Chiarelettere, pp. 410, euro 14), ripropone infatti un’inchiesta che, quando uscì nel 1991, contribuì alla riapertura delle indagini sulla morte di Calvi, liquidata come «suicidio», e all’accertamento parziale della verità giudiziaria su quella vicenda: Calvi non si suicidò ma fu ucciso (anche se i tre principali imputati, Flavio Carboni, Pippo Calò ed Ernesto Diotallevi sono stati assolti), Cosa Nostra usava il Banco ambrosiano e lo Ior per riciclare capitali.
Ma questa storia viene aggiornata e collegata al presente, ovvero agli scandali e alle inchieste che da qualche anno hanno riportato la banca vaticana al centro dell’attenzione: il sequestro di 23 milioni di euro dello Ior da parte della Procura di Roma nel settembre 2010 (poi dissequestrati, ma tuttora immobili); le indagini per riciclaggio che hanno coinvolto i massimi dirigenti della banca vaticana (le accuse nei confronti dell’allora presidente, Ettore Gotti Tedeschi, sono state archiviate, mentre andranno a processo l’allora direttore generale, Massimo Tulli, e il suo vice, Paolo Cipriani); il “corvo” del Vaticano e il caso Vatileaks; l’arresto di mons. Scarano, “don 500 euro”, per riciclaggio. Ma anche i processi di riforma avviati Oltretevere da papa Bergoglio – che comunque ha confermato la necessità dello Ior per la chiesa, mettendo la parola fine alle fantasiose ipotesi di chiusura –, dalla legislazione antiriciclaggio, alle nuove nomine allo Ior, fino alla creazione delle commissioni d’inchiesta sulla banca e sulle finanze vaticane.
«Gli scandali più recenti che hanno coinvolto lo Ior affondano le loro radici nella storia del vecchio Banco ambrosiano», spiega Maria Antonietta Calabrò, che richiama quanto dichiarato qualche mese fa da Pierluigi Maria Dell’Osso, pubblico ministero nel processo per la bancarotta dell’Ambrosiano: «Se si fosse fatto buon governo di quanto avevamo detto allora, non sarebbe accaduto di nuovo».
E questo riguarda sia il Vaticano che l’Italia, perché molti “buchi” del sistema sono nel nostro Paese. A cominciare dai «conti misti in gestione confusa», ovvero quei conti dello Ior sui quali, ai tempi dell’Ambrosiano, si operava senza rivelare i nomi dei clienti. Sembravano morti, invece erano solo dormienti, e la loro esistenza è tornata alla luce quando la Procura di Roma ha ordinato il sequestro dei 23 milioni di euro dello Ior depositati su un conto del Credito artigiano che stavano per essere spostati senza comunicare a chi appartenevano. Una situazione che si è poi ripetuta poco dopo, con l’arresto di mons. Scarano, che spostava soldi per conto terzi utilizzando i suoi conti presso lo Ior, senza dire di chi erano. «Questo particolare funzionamento dello Ior – si legge nell’ordine di arresto di Scarano firmata dal gip di Salerno Dolores Zanone a gennaio – costituisce la ragione per la quale spesso i rapporti bancari ivi radicati vengono scientemente utilizzati per porre in essere operazioni finanziarie ricorrendo a provviste ivi allocate delle quali non si vogliono rendere note né l’origine né tantomeno la titolarità». E proprio quella dei conti misti resta l’oggetto principale del contenzioso fra Italia e Vaticano, tanto che ad oggi lo Ior, per ordine di Bankitalia, non può operare con le banche italiane.
Ma le “falle” sono numerose: le rogatorie che non hanno mai varcato le mura leonine o lo hanno fatto fuori tempo massimo; i contatti con ex boss della Banda della Magliana e oggi ancora in attività, a cominciare da quell’Ernesto Diotallevi assolto per l’omicidio Calvi e arrestato con l’accusa di riciclaggio nel luglio 2012 insieme anche ad un parroco romano titolare di conti allo Ior; i conti ancora da bonificare. Trent’anni dopo la storia continua.
Luka Cocci
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