Se la riforma dell’Ordinariato militare si farà, e i cappellani dei soldati verranno smilitarizzati e privati dei “gradi” che li inseriscono a pieno titolo nella struttura e nella gerarchia delle Forze armate, i tempi saranno comunque piuttosto lunghi: nella migliore delle ipotesi un paio d’anni. A prevederlo è mons. Angelo Frigerio, vicario episcopale dell’Ordinariato militare per l’Italia, il quale, dopo la lunga conversazione ai microfoni di Radio Radicale in cui ha aperto la strada alla possibile smilitarizzazione dei cappellani, è tornato sull’argomento in una breve intervista al quotidiano della Conferenza episcopale italiana Avvenire (24/1). La modifica dello status del cappellano, ha spiegato, avviene «per iniziativa di entrambi le parti», ovvero lo Stato italiano e la chiesa. Si tratta di quell’Intesa prevista dal nuovo Concordato (1984) ma mai sottoscritta che ora, forse, verrà discussa e firmata, ponendo fine ad una situazione di illegittimità che si protrae da quasi 30 anni. «Un incontro – rivela mons. Frigerio al quotidiano dei vescovi – c’è stato nei giorni scorsi. È stato stabilito di preparare entro Pasqua un primo documento. Poi, tra un paio d’anni, la definizione delle linee portanti».
La soluzione, quindi, non è dietro l’angolo. Tuttavia la questione è stata posta ai massimi livelli ecclesiastici e governativi, e il percorso sembra avviato. «Prendiamo atto delle parole di mons. Frigerio. E rilanciamo: una “chiesa militare” è compatibile con il vangelo?», chiede don Renato Sacco, coordinatore nazionale di Pax Christi, il movimento che da oltre 20 anni pone il problema e invoca la smilitarizzazione dei cappellani.
Don Renato cosa pensi delle affermazioni del vicario episcopale dell’Ordinariato militare per l’Italia?
«Ovviamente le apprezziamo. Ma crediamo che si debba fare una riflessione complessiva sulla questione, andando ben oltre le “stellette”: il vangelo è compatibile con la guerra? Con le forze armate? Come si deve comportare il cristiano? Noi non vogliamo le guerre, e di conseguenza nemmeno coloro che le vanno a benedire. Questo è il punto, non solo i gradi. Può esistere una “chiesa militare”? Questo è il nodo centrale, il punto di partenza, quello su cui si dovrebbe riflettere. Ne abbiamo parlato diffusamente – con i contributi, fra gli altri, del generale Fabio Mini, dello psichiatra Vittorino Andreoli e del teologo Giannino Piana – nel dossier sui cappellani militari pubblicato sul fascicolo di novembre di Mosaico di pace, la rivista promossa da Pax Christi».
Insomma Pax Christi rilancia?
«Esatto. Proponiamo all’Ordinariato un confronto aperto e un dibattito franco, fraterno ma chiaro, attorno alla questione fondamentale della “chiesa militare” e della sua coerenza con il vangelo. Partiamo da qui per affrontare tutti gli aspetti biblici, teologici e anche pastorali».
Qual è la proposta di Pax Christi sui “preti soldato” e sull’assistenza spirituale agli uomini e alle donne in divisa?
«Ribadiamo quello che diciamo da più di venti anni: il superamento dell’inquadramento dei cappellani nella gerarchia militare – quindi la smilitarizzazione dell’Ordinariato – e l’affidamento della cura pastorale dei militari ai preti delle parrocchie nel cui territorio ricade quella caserma, valorizzando quindi la dimensione pastorale territoriale. Ma ripeto, il punto fondamentale è un altro: ovvero l’incompatibilità fra chiesa e militare»
Luca Kocci
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