Fino a quando lo Stato non finanzierà adeguatamente le scuole paritarie cattoliche in Italia non vi saranno piena «libertà di educazione» e vera «parità scolastica». La tesi non è nuova. Ma ieri la Conferenza episcopale italiana l’ha ribadita nella nota pastorale La scuola cattolica risorsa educativa della Chiesa locale per la società, 30 anni dopo la pubblicazione del documento, nel 1983, La scuola cattolica oggi in Italia.
Perché, sostengono i vescovi, il quadro normativo è profondamente cambiato. In particolare con la legge 62/2000 (Luigi Berlinguer ministro della Pubblica istruzione, D’Alema premier) è stato sancito che il sistema nazionale di istruzione «è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali». Una «conquista», secondo mons. Ambrosio, presidente della commissione episcopale per l’educazione cattolica, la scuola e l’università. Ma per il "ministro dell'istruzione" della Cei «ancora incompiuto rimane il cammino verso una parità effettiva». La libertà di educazione, spiega la nota dei vescovi, «incontra nel suo concreto esercizio» molti ostacoli che ne rendono «astratta l’affermazione». Finché la legge non prevederà anche le risorse economiche, «a una parità nominale affermata non corrisponderà mai una parità nei fatti». La richiesta è netta: un «finanziamento adeguato delle scuole paritarie», superiore ai quei 499 milioni erogati nel 2013. Senza questi soldi, avvisano i vescovi, altre scuole cattoliche – che risentono anche della «carenza di vocazioni religiose», forza lavoro a costo zero – chiuderanno, oppure dovranno aumentare le rette, escludendo ancora più di quanto fanno già oggi le fasce sociali medie e medio-basse.
Ma la parità che si rivendica, questa la contraddizione che la nota tenta di coprire ma non può eliminare, è una parità a senso unico. Perché il progetto educativo-didattico della scuola cattolica, se per statuto deve garantire «almeno lo stesso livello qualitativo delle altre scuole», è cristianamente orientato, quindi inevitabilmente di parte: fa sintesi tra fede, cultura e vita, il fine «è condurre l’allievo nel cammino faticoso e appassionante della ricerca della verità fino al conseguente incontro con Dio». Anzi, precisano i vescovi, è questo il «criterio decisivo» che distingue una scuola cattolica da un’altra, e «in base a questo criterio le famiglie sceglieranno».
Si vede anche nel reclutamento degli insegnanti, di cui va valutata la capacità professionale ma anche la «oggettiva testimonianza di vita. Non è difficile, specialmente al giorno d’oggi – chiarisce la nota –, imbattersi nei casi di insegnanti implicati in situazioni personali critiche, comportanti una minore adesione alla vita della comunità cristiana». Che fare? Come la direttrice della scuola di Trento che pochi giorni fa non ha confermato una docente ritenuta lesbica: prima un «prudente discernimento», poi il licenziamento, per la «salvaguardia morale degli alunni e dei loro familiari». L’allontanamento di un insegnante, prescrive la nota, può essere «dolorosamente imposto», «coniugando cristianamente verità e carità, come provvedimento estremo dal bene prioritario degli alunni». Non certo dalla parità.
Luka Cocci
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