Aumenta il numero dei cappellani militari delle Forze armate italiane. La legge di bilancio per il 2015 ne prevede 32 in più (quasi il 20%) rispetto al 2014: i preti soldato saranno 205, invece dei 173 attualmente in servizio. E ovviamente crescono anche i costi per il ministero della Difesa, dal momento che i cappellani sono inseriti a pieno titolo nelle Forze armate, con gradi e stipendi corrispondenti, che vanno dai 2.500 euro lordi per i cappellani semplice (tenente) ai 9mila per l’ordinario (generale di Corpo d’armata). Nel 2015 per il mantenimento dell’Ordinariato, gli stipendi dei cappellani e i vari benefit, come per esempio le automobili di servizio – escludendo quindi il pagamento delle pensioni, che costano altri 7-8 milioni di euro l’anno –, verranno spesi 10.445.732 euro. Nel 2013 per 169 cappellani ne furono spesi 7.680.353, nel 2014 per 173 cappellani 8.379.673. In tre anni, pertanto, la spesa a carico dello Stato è cresciuta del 35%, ovvero di 2.765.379 euro. Niente male in epoca di tagli alla spesa pubblica e di riduzione del personale delle Forze armate.
Ci ha provato, come del resto altri in passato – gli ultimi in ordine di tempo furono nel 2012 i Radicali Maurizio Turco e Marco Perduca, allora stoppati dal presidente della Camera Gianfranco Fini –, il deputato del Partito democratico, nonché vicepresidente della Camera, Roberto Giachetti (ex Radicale anche lui), a presentare un emendamento per sganciare le spese per i cappellani militari dal bilancio dello Stato, ma non c’è stato nulla da fare: il presidente della commissione Bilancio della Camera, Francesco Boccia (Pd anche lui), lo ha dichiarato «inammissibile», con la stessa motivazione dei suoi predecessori, ovvero che l’argomento è oggetto di un’Intesa fra Stato italiano e Conferenza episcopale italiana e quindi non può essere modificato unilateralmente. Ma quell'Intesa non esiste, è una menzogna.
Sulla questione è intervenuto anche l’ordinario militare per l’Italia, mons. Santo Marcianò, che indossa contemporaneamente la talare e le tre stellette di generale di Corpo d’armata. Intervistato dalla “iena” Luigi Pelazza (nella trasmissione andata in onda su Italia1 lo scorso 19 novembre) ha spiegato: «Il problema non è mantenere lo stipendio. Il problema è garantire al cappellano militare di svolgere il proprio servizio» all’interno delle Forze armate. «L’Intesa – ha aggiunto – potrebbe prevedere che i gradi rimangano, ma che a quei gradi non corrisponda la remunerazione prevista». Parole di grande disponibilità – il governo le prenderà in considerazione? –, che però stonano con quelle pronunciate dallo stesso arcivescovo castrense appena due settimane fa sulle colonne di Famiglia Cristiana. «La realtà militare – spiegava Marcianò al settimanale dei Paolini – può essere capita bene solo “dal di dentro”. Le “stellette”, per un cappellano militare, non sono inutili o pericolose: sono semplicemente espressione di quel senso di appartenenza che in questo mondo è molto marcato», un «segno di condivisione». Anche «lo stipendio – prosegue – è calcolato in base al servizio reso allo Stato, così come avviene per gli insegnanti di religione nelle scuole».
In attesa di capire quale sia l’autentico Marcianò – se quello smilitarizzato delle Iene o quello militarista di Famiglia Cristiana –, Giachetti semplifica, e rilancia: «Siccome i cappellani non sono costretti ad intascare lo stipendio di militari, perché non vi rinunciano autonomamente?»
Luka Cocci
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