Fogli sparsi per terra,un rumore di passi e di canti belli e sinistri giunge dalla finestra, un vecchio si avvicina e la chiude. E’ una notte di aprile, la luna si è nascosta e per le strade girano solo plotoni di soldati nazisti. In Bergenstrasse 19, lui Sigmund Freud, aspetta angosciato sua figlia Anna che è stata portata via da un ufficiale della Gestapo.
Improvvisamente si accorge che un uomo si è introdotto in casa sua, uno psicopatico che gli chiede di curarlo ora e subito. Freud prende tempo, lo invita a tornare in un altro momento,eppure ne è affascinato e alla fine cede, in fondo è una notte in cui bisogna aspettare. “Mi racconti di un sogno ricorrente, di una storia”
E il visitatore parla di quando bambino si era ritrovato solo nella grande cucina di casa e, steso sul pavimento, aveva incominciato a fantasticare guardando le piastrelle rosse che lo ricoprivano. E poi improvvisamente si era sentito solo, sperduto e aveva cominciato a gridare. E più gridava più quella voce gli ricadeva dentro. Lui e il mondo erano lontani. “Mi chiamo Sigmund Freud e so di esistere e mi devo ricordare di questo momento“.
Freud resta sconvolto perché il visitatore ha appena raccontato un suo ricordo intimo, sepolto da tempo, mai confidato a nessuno. Chi è dunque l’uomo che ha davanti? Più continua ad ascoltarlo più si insinua il dubbio che quell’uomo sia Dio. Eppure sa che razionalmente è impossibile, ha passato una vita intera a dimostrarlo e poi nel caso perchè proprio lui? Dio non è altro che un’allucinazione contradditoria e quest’uomo è un pazzo che si crede Dio.
Ritorna il testo di Eric-Emmanuel Schmitt “Il visitatore” e lo fa con la regia morbida alla vista ed essenziale al tatto di Bisnasco, che costruisce geometrie riuscite ed esaltate dal perenne contrasto luce e ombra. Freud-Haber veste magistralmente i panni del vecchio psicanalista stanco e malato che si trova a duellare verbalmente per un’intera notte con un sornione e dinoccolato visitatore interpretato da un credibilissimo Alessio Boni.
In scena portano l’eterno conflitto tra ateismo e fede, ma lo fanno senza perdersi nei tortuosi sentieri filosofici che a volte si percorrono. “Dio è un’ipotesi inutile, ma se tu sei lui perchè ti comporti così?”. Il mondo, il male, il senso dell’esistere, il libero arbitrio dell’uomo, creato soltanto per amore. Dentro di sé Freud vacilla, vorrebbe credere, abbandonarsi e smettere finalmente di sentire quella fitta dolorosa che l’ha accompagnato per tutta la vita, ma ha bisogno di una prova, di un solo miracolo.
Non l’avrà, perché a volte bisogna fare quel salto di cui parlava quel filosofo francese e così lo sconosciuto si cala giù da quella stessa finestra dalla quale forse era entrato e scompare lasciando il professore incredulo.
Ma come in tutte le commedie di Schmitt niente è quel che sembra e lo strano visitatore potrebbe essere in fondo il frutto del suo inconscio, un sogno ad occhi aperti oppure soltanto un mitomane che si è preso soltanto gioco per una notte di Freud “Non ho né padre né madre né sesso né inconscio, non potete fare niente per me”.
Mariaelena Prinzi
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