«Non si può uccidere in nome di dio e in nome della propria religione», «è un’aberrazione», ma dall'altra parte «non si può insultare la fede degli altri, non si può prendere in giro la fede». Nel volo aereo di trasferimento da Colombo (Sri Lanka) a Manila (Filippine) – seconda tappa del viaggio apostolico del pontefice in Asia – papa Francesco dialoga, come di consueto, con i giornalisti e, interpellato sugli attentati terroristici di Parigi da un cronista francese, condanna severamente la violenza di matrice religiosa – compresa quella cattolica del passato («anche noi siamo stati peccatori su questo») –, all'interno però di un discorso con qualche se e molti ma. Come quando, parlando della libertà di espressione, Bergoglio afferma che è un «diritto umano fondamentale» però, puntualizza, «senza offendere». Invece c’è «tanta gente che sparla, prende in giro, si prende gioco della religione degli altri. Questi provocano, e può accadere quello che accadrebbe al dottor Gasbarri, che è un grande amico, ma se dice una parolaccia contro mia mamma, gli spetta un pugno, è normale». Un esempio che voleva essere ironico ma che, dopo la strage alla redazione di Charlie Hebdo, pare quantomeno inopportuno (infatti, forse non a caso, nell'ampia sintesi del colloquio del papa con i giornalisti diffusa da Radio Vaticana, la frase non viene riportata). Tanto più se pronunciato prima dell’atterraggio in un Paese in prevalenza cattolico, le Filippine, confinanti però con l’Indonesia, il più popoloso Stato a maggioranza musulmana del mondo. «C’è un limite», aggiunge Bergoglio. «Ogni religione ha dignità, ogni religione che rispetti la vita umana. Io non posso prenderla in giro, questo è un limite», e anche «nella libertà di espressione ci sono limiti»
Luka Cocci
Scrivi commento