Cala l’8 per mille per la Chiesa cattolica. E dopo diversi anni scende, sebbene di poco, sotto il miliardo di euro. Non accadeva dal 2009, quando furono incassati 968 milioni.
Quest’anno alla Chiesa cattolica sono stati assegnati 995 milioni, 60 in meno del 2014, quando invece venne raggiunta quota 1 miliardo e 55 milioni. I motivi dell’emorragia sono tre, come ha spiegato il card. Angelo Bagnasco durante la conferenza stampa conclusiva dell’Assemblea generale della Cei: la diminuzione complessiva dell’Ire (ex Irpef), che quindi riduce l’incasso, essendo calcolato in percentuale; un conguaglio negativo di oltre 17 milioni di euro (soldi che erano stati assegnati in più nel 2014 e che ora sono stati recuperati dallo Stato); e soprattutto il calo di firme a favore della Chiesa cattolica, scese di oltre 2 punti, dall’82,28% del 2014 all’80,22% di quest’anno. Ricordando sempre che non si tratta di una percentuale assoluta (l’80% di tutti i contribuenti), ma relativa solo a coloro che scelgono una destinazione dell’8 per mille, ovvero circa il 45% dei cittadini che presentano la dichiarazione dei redditi (il restante 55% lascia tutte le caselle in bianco, ma la quota viene comunque ripartita proporzionalmente in base alle scelte di coloro che hanno firmato). Quindi in realtà è circa il 35% dei contribuenti a destinare il proprio otto per mille alla Chiesa cattolica.
Non c’era ancora “l’effetto papa Francesco”: i soldi del 2015 si riferiscono alle dichiarazioni dei redditi presentate nel 2012, e Bergoglio venne eletto al soglio pontificio nel marzo 2013 (quindi è presumibile che il prossimo anno le cifre torneranno a salire, se la popolarità di Francesco influirà anche sui portafogli dei contribuenti). C’era invece l’effetto Vatileaks, che esplose proprio in quel periodo.
Durante l’Assemblea generale della Cei, i vescovi hanno approvato la ripartizione dei fondi assegnati che sostanzialmente corrisponde alla tendenza degli ultimi anni, sebbene vi sia una inversione di tendenza piccola ma significativa: il 40% ad «esigenze di culto e pastorale», il 33% al sostentamento del clero (lo scorso anno era il 37%) e una percentuale minore, il 27%, ad interventi caritativi (nel 2014 era il 23%), che però sono i protagonisti quasi assoluti delle campagne promozionali.
In particolare ad «esigenze di culto e pastorale» sono stati destinati 403 milioni (30 in meno dello scorso anno), di cui 156 milioni alle diocesi per culto e pastorale, 160 per l’edilizia di culto (-20 milioni rispetto al 2014), 32 milioni per la catechesi (10 in meno del 2014), 13 milioni per i tribunali ecclesiastici regionali e 42 milioni per non ben specificate «esigenze di rilievo nazionale». Per il sostentamento del clero sono stati riservati 327 milioni di euro, 50 in meno dello scorso anno. E agli interventi caritativi sono stati destinati 265 milioni di euro, 20 milioni in più del 2014, così suddivisi: 140 milioni alle diocesi (+10 milioni), 85 per «Terzo mondo» e 40 per «esigenze di rilievo nazionale» (+10 milioni). L’effetto papa Francesco – dallo stile sobrio alle parole sui poveri – può aver condizionato i vescovi ad una diversa ripartizione dei fondi: non c’è stata una inversione ad U (i tre quarti dei fondi vengono comunque usati per culto e pastorale), ma la spending review non ha tagliato il “sociale” bensì il culto e il “personale”.
Luka Cocci
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