Ci sono voluti più di 800 anni, ma alla fine un pontefice romano ha chiesto «perdono» ai valdesi per le scomuniche, le persecuzioni e le violenze operate dei cattolici nei loro confronti.
«Da parte della Chiesa cattolica vi chiedo perdono per gli atteggiamenti e i comportamenti non cristiani, persino non umani che, nella storia, abbiamo avuto contro di voi. In nome del Signore Gesù Cristo, perdonateci!». Le parole sono state pronunciate da papa Francesco, all'interno del tempio valdese di corso Vittorio Emanuele II, a Torino, al termine della visita di due giorni nel capoluogo piemontese.
«La sua richiesta di perdono ci ha profondamente toccati e l'abbiamo accolta con gioia – la reazione del pastore Eugenio Bernardini, moderatore della Tavola valdese (organo esecutivo dell’Unione delle Chiese metodiste e valdesi) –. Naturalmente non si può cambiare il passato, ma ci sono parole che a un certo punto bisogna dire, e il papa ha avuto il coraggio e la sensibilità per dire la parola giusta».
Insomma benché arrivata con grande ritardo (per Galileo ci vollero “appena” 350 anni), la richiesta di perdono di papa Francesco per le gravi colpe della Chiesa cattolica nei confronti dei valdesi ha una valenza storica. Perché è il riconoscimento di errori storici e violenze compiute non da singoli uomini di fede, ma dalla stessa istituzione ecclesiastica: la prima cacciata dalla diocesi di Lione, nel 1177, dove il mercante Pietro Valdo, spogliatosi dei suoi beni, aveva cominciato a vivere e a predicare una Chiesa povera e dei poveri e a diffondere il Vangelo tradotto in volgare, infrangendo il monopolio clericale dell’annuncio della Parola; la scomunica dei valdesi da parte di papa Lucio III, nel 1184; poi, lungo tutto il medioevo, le persecuzioni, i tribunali dell’Inquisizione, i roghi, con la benedizione dei papi; infine le nuove persecuzioni, in età moderna, quando i valdesi aderirono alla Riforma protestante.
«Entrando in questo tempio – ha detto Bernardini accogliendo il papa –, lei ha varcato una soglia storica, quella di un muro alzatosi oltre otto secoli fa quando il movimento valdese fu accusato di eresia e scomunicato dalla Chiesa romana. Qual era il peccato dei valdesi? Quello di essere un movimento di evangelizzazione popolare svolto da laici, mediante una predicazione itinerante tratta dalla Bibbia, letta e spiegata nella lingua del popolo». Ciò che, ha aggiunto Bernardini, vogliono essere i valdesi ancora oggi: una «comunità di fede cristiana» che annuncia il Vangelo «nella libertà».
«L’inizio di una nuova stagione ecumenica», aveva auspicato Bernardini, intervistato dal manifesto. In parte è così, anche se le differenze restano. Differenze di natura teologica ed ecclesiologica. «Il Concilio Vaticano II ha parlato delle Chiese evangeliche come di “comunità ecclesiali”», ha ricordato Bernardini, chiedendo: «Non abbiamo mai capito bene che cosa significhi questa espressione, una Chiesa a metà?». Resta sullo sfondo la Dichiarazione Dominus Iesus – firmata dal card. Ratzinger, con Wojtyla papa, nel 2000 – che afferma la superiorità della Chiesa cattolica su tutte le altre Chiese cristiane. E differenze su «importanti questioni antropologiche ed etiche», ha segnalato papa Francesco: dal fine-vita (i valdesi sono a favore del testamento biologico) alle unioni omosessuali, che vengono benedette con una certa frequenza in molte chiese valdesi.
Ma ci sono anche molti punti in comune, su questioni religiose – la pubblicazione di una traduzione «interconfessionale» della Bibbia, le intese per la celebrazione dei matrimoni “misti” – e sociali, a cominciare dal lavoro comune, soprattutto in Sicilia, nell'accoglienza dei migranti che, ha denunciato Bernardini, «la fortezza Europa respinge».
«L’unità non significa uniformità, i fratelli sono accomunati da una stessa origine ma non sono identici tra di loro», ha detto il papa, augurandosi comunque che il «movimento ecumenico» vada avanti, perché «l’unità si fa in cammino». Magari, ha aggiunto Bernardini, con qualche traguardo raggiunto entro il 2017, a « 500 anni dalla Riforma protestante».
Nei due giorni a Torino di papa Francesco non c’è stato solo l’incontro con i valdesi. Domenica la visita alla Sindone – che, nonostante le evidenze storiche, continua ad essere venerata dai cattolici e dai papi (come ben spiegato dallo storico Andrea Nicolotti sul manifesto di sabato) –, la messa in piazza, l’incontro con i salesiani, con i disabili del Cottolengo, con i giovani (a cui ha raccomandato di essere «casti» e ha ricordato anche le vittime dimenticate della Shoah: «rom» e «omosessuali») e con «il mondo del lavoro», “ecumenicamente” rappresentato da un’operaia, un agricoltore e un imprenditore, che hanno salutato Francesco. «Il lavoro non è necessario solo per l’economia, ma per la persona umana – ha detto Bergoglio –, per la sua dignità, per la sua cittadinanza, per l’inclusione sociale. Torino è storicamente un polo di attrazione lavorativa, ma oggi risente fortemente della crisi: il lavoro manca, sono aumentate le disuguaglianze economiche e sociali, tante persone si sono impoverite e hanno problemi con la casa, la salute, l’istruzione e altri beni primari. Il lavoro è fondamentale», e «questo richiede un modello economico che non sia organizzato in funzione del capitale e della produzione ma piuttosto in funzione del bene comune». In prima fila, ad applaudire queste parole, anche l’amministratore delegato di Fiat Chrysler Automobiles (Fca), Sergio Marchionne.
Luka Cocci
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