Arcidiocesi Bologna eredita la Faac ma chiude a Bergamo ed apre in Bulgaria licenziando gli italiani. La Faac ha visto subentrare la chiesa nella proprietà dopo che l’ex titolare Michelangelo Manini le lasciò in eredità la sua quota di maggioranza, ma dopo aver affidato ai manager la gestione dell’azienda, la decisione: si chiude a Bergamo lasciando a piedi i lavoratori italiani e si apre in Bulgaria per massimizzare i profitti.
Logica del profitto e le cose sembrano essere andate come a un’ azienda qualsiasi che scelga di spostarsi dove il costo del lavoro è molto minore: «Noi, a differenza della Fim Cisl, non avevamo firmato l’ accordo che prevedeva sì una buonuscita per il personale in mobilità, ma non un impegno preciso a trovarne una ricollocazione – spiega Eugenio Borella, segretario provinciale Fiom di Bergamo -. Il risultato è che a tutt'oggi i 50 dipendenti non sono ancora ricollocati, la Faac sembra essersi defilata e non c’ è nessuna proposta concreta. Lo stabilimento di Grassobbio non era in perdita, ma è stato spostato all'estero per guadagnare di più, il che può essere legittimo, ma per noi non è condivisibile perché ha comportato chiusura e licenziamenti».
Peccato che dietro la Faac ci sia la Chiesa che dovrebbe essere misericordiosa e caritatevole ed invece guarda comunque al proprio interesse. Uno stabilimento chiuso, l’ attività delocalizzata in Bulgaria, cinquanta persone senza lavoro: un dramma dell’ occupazione come tanti, non fosse che l’ azienda smantellata, che aveva sede a Grassobbio nel Bergamasco, appartiene alla Faac, multinazionale dei cancelli elettrici la cui proprietà è interamente nelle mani della curia di Bologna. Un assetto che farebbe presumere un atteggiamento di maggiore comprensione per i lavoratori, anche perché l’ arcivescovo Caffarra, nella lettera di intenti spedita al management della società, aveva chiesto che la direzione si ispirasse ai principi dell’ impresa sociale contenuti nell'enciclica Caritas in Veritate di Benedetto XVI .
Uno stabilimento chiuso, l’ attività delocalizzata in Bulgaria, cinquanta persone senza lavoro: un dramma dell’ occupazione come tanti, non fosse che l’ azienda smantellata, che aveva sede a Grassobbio nel Bergamasco, appartiene alla Faac, multinazionale dei cancelli elettrici la cui proprietà è interamente nelle mani della curia di Bologna. Un assetto che farebbe presumere un atteggiamento di maggiore comprensione per i lavoratori, anche perché l’ arcivescovo Caffarra, nella lettera di intenti spedita al management della società, aveva chiesto che la direzione si ispirasse ai principi dell’ impresa sociale contenuti nell'enciclica Caritas in Veritate di Benedetto XVI.
Tutte scelte che competono al management e da cui l’ arcivescovo si è tirato fuori, perché non rientrano nelle sue competenze professionali e tanto meno pastorali, con la creazione del trust cui è affidata la direzione concreta della multinazionale. Azienda di dimensioni mondiali, la Faac ha visto subentrare la chiesa nella proprietà dopo che l’ ex titolare Michelangelo Manini le lasciò in eredità la sua quota di maggioranza alla sua morte, tre anni fa.
Le proteste da parte dei lavoratori, molti padri di famiglia o madri, si susseguono ma al momento non sembra esserci una via di uscita anche perché, di fatto, la Chiesa nega ogni coinvolgimento dando la colpa di tutto ciò ai dirigenti, scelti dal vescovo stesso. Altro dato interessante è che la Faac di Bergamo stava andando bene come fatturati e non aveva perdite, anzi! Allora dove sono finiti quei soldi?
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